
Nel 1970 uno studioso giapponese di robotica, tal Masahiro Mori, pubblicò quella che è chiamata Uncanny Valley Theory (Teoria della Valle Perturbante). Se state pensando a Lady Godiva che cavalca con la sua tenuta tipica su un declivio verdeggiante, è perchè probabilmente avete confuso perturbante e conturbante; errore macroscopico dato che la tenuta di cui dicevo non contempla alcun copricapo orientale, quindi al massimo è senzaturbante. In ogni caso la teoria tratta della facilità con la quale gli esseri umani possono accettare un androide dalle fattezze umane. Come si vede dal grafico l'indice di familiarità (sull'asse verticale) cresce mano a mano che l'aspetto del robot si fa più simile a quello umano – che in termini pratici vuol dire che i Transformers sono più simpatici di un robot da catena di assemblaggio.
Tuttavia, prima di arrivare alla completa identificazione dell'androide come pari, si verifica un repentino calo (la Valle di cui sopra) il quale porta la reazione non solo all'indifferenza (ovvero a considerare il robot come un semplice oggetto) ma persino alla repulsione (indice negativo). In questa fascia si ha un androide che è estremamente simile ad un essere umano ma ha ancora differenze (nell'aspetto, nei movimenti, nelle reazioni) tali da renderlo repulsivo in quanto sbagliato, ma in modo sottile. In pratica ci mette a disagio per qualcosa che vediamo con la coda dell'occhio, che notiamo a livello più subconscio che cosciente. Proprio su un concetto simile si basa una larga fetta della fantascienza classica - basti pensare al cult L'invasione degli ultracorpi, per non parlare di diverse opere di Philip K. Dick, e più in generale parte della narrativa fantastica nata nel periodo delle psicosi causate dalla Guerra Fredda.
Come detto è una teoria, non ancora pienamente confermata dai fatti, e anche contestata da alcuni studiosi. Ci sono però recenti ricerche le quali sembrerebbero dimostrare che un simile meccanismo esiste anche nei primati. Altri sono convinti che questa teoria abbia applicazioni più ampie; per esempio secondo alcuni la stessa sarebbe la causa dello scarso successo di alcuni film di animazione come Beowulf e The Polar Express, i quali rappresentavano i personaggi con un realismo ben maggiore rispetto a noti blockbusters come Monsters Inc, Ice Age e Shrek.

Ad ogni modo, per essere perturbante un robot non ha bisogno di essere molto simile ad un essere umano – anzi, può avere forme estremamente diverse. Ecco due esempi, presi dalle più recenti notizie, che pur non arrivando neanche lontanamente nei pressi dell’Uncanny Valley, riescono ad essere inquietanti lo stesso!
Se qualcuno mi desse dei fogli di cartoncino, un motorino elettrico e mi dicesse di essere inventivo, probabilmente creerei… Beh, un motorino elettrico appoggiato su dei fogli di cartoncino. Fortunatamente non tutti sono dotati come me; per esempio gli ingegneri del Biomimetic Millisystems Laboratory presso la University of California, usando più o meno gli stessi materiali hanno creato un piccolo robot radiocomandato che corre a 1,5 metri al secondo, è in grado si sopravvivere a cadute anche di svariate decine di metri, e visto da lontano è praticamente identico ad uno scarafaggio troppo cresciuto, principalmente per il modo che ha di camminare. L’hanno chiamato DASH, acronimo che sta per Dynamic Autonomous Sprawled Hexapod, traducibile in italiano approssimativamente come Gli Abbiamo Dato Un Nome Difficile per Darci Importanza E Poi Comunque Volevamo Chiamarlo Dash Quindi Ci Servivano Parole Che Cominciassero Con Quelle Lettere. Eccolo in azione:
E’ solo un prototipo, ma se il telaio venisse costruito in carbonio anziché che con un wafer di cartoncino e polimeri, e venissero aggiunti componenti alla bisogna, potrebbe diventare un ottimo automa da esplorazione. Per esempio uno sciame di questi robot, comandati da una centralina che riceve il feedback dalle unità periferiche e agisce di conseguenza, potrebbe essere usato per cercare esplosivi nascosti negli edifici, esplorare un palazzo semicrollato alla ricerca di sopravvissuti senza mettere in pericolo i soccorritori, o sorvegliare una determinata zona. Rimane comunque il fatto che fa senso, e conosco più di una persona che scarterebbe di un metro buono se se lo vedesse venire incontro senza sapere di cosa si tratta.
Per quanto riguarda il secondo aggeggio… Beh, questo non sembra neanche avere qualcosa a che fare con la robotica, a prima vista. Anzi, ad essere proprio sincero subito ho pensato che qualcuno stesse creando un cuore alieno da usare in un film di fantascienza a basso costo. Si tratta di una palla di silicone, riempita con uno strato di particelle e con al centro un attuatore. Cambiando la rigidità della “pelle” e gonfiando e sgonfiando alcuni settori del suo corpo questo coso è in grado di… Rotolare. Lentamente.
Certo, probabilmente non è quello che potremmo considerare un traguardo impressionante, ma si tratta comunque di un prototipo di un prototipo, un’early alpha se vogliamo. Vedremo cosa ne nascerà una volta che la tecnologia sia stata affinata, l’obiettivo pare sia di creare robot infiltratori che grazie al loro corpo a geometria variabile siano in grado di intrufolarsi ovunque. Purtroppo ormai lo associo alla xenobiologia, e quindi non posso fare a meno di immaginarmelo dentro al torace di qualche alieno su un tavolo da autopsia, coperto da icore repellente e pulsante di luce maligna.
Il problema principale di tutti i robot, alla fin fine, è l’alimentazione. Per avere maggiore autonomia qualunque apparecchio ha bisogno di batterie più grandi. Ma batterie più grandi significano un peso maggiore, e quindi un telaio più robusto e attuatori più potenti. Di conseguenza per muoversi ha bisogno di più energia, quindi batterie più grandi eccetera. Il problema è stato finora affrontato in due modi diversi – da una parte un tentativo di rendere le batterie più capienti e potenti riducendo al contempo peso e dimensioni, dall’altra il ricorso a forme alternative di alimentazione, per esempio l’energia solare.
Un’azienda in Florida è andata oltre, progettando un robot da utilizzare in missioni militari di esplorazione, sorveglianza e ricognizione in grado di ricavare energia dalla “digestione” di materia organica. Si chiama EATR, Energetically Autonomous Tactical Robot, che vuol dire Visto Quanto Siamo Spiritosi Nello Scegliere I Nomi? Diffusasi la notizia, è stato immediato allarme tra tutti gli emuli di Sarah Connor e Neo, convinti che questo sia il primo passo verso la formazione di un ibrido tra Skynet e The Matrix, il quale creerà robot assassini che viaggeranno nel tempo nutrendosi dell’energia degli esseri umani. Dato che non è stato sufficiente far notare a queste persone che l’idea non aveva senso nei due film, figuriamoci nella realtà, l’azienda è stata costretta a diramare un comunicato con il quale puntualizza che per “materia biologica” intendevano biomassa vegetale, con buona pace di chi già si stava armando.
Ah, vi siete chiesti chi sta finanziando lo sviluppo di questi ultimi due robot? La riposta è DARPA, la Defense Advanced Research Projects Agency, agenzia governativa USA che distribuisce fondi per la ricerca mirata allo sviluppo di nuove tecnologie da utilizzare in ambito militare. Vi sentite tranquilli?
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