lunedì 17 agosto 2009

Processo alle intenzioni

In generale si considerano le leggi come un tentativo di applicare ai casi pratici un concetto puramente teorico, la giustizia. E' evidente che simili tentativi hanno sempre un'efficacia limitata, e questo ancora di più nel caso della giustizia, un ideale estremamente mobile sia nello svilupparsi del tempo, che nel variare del soggetto. Capita così che da questa discrepanza dovuta al discendere nel quotidiano di qualcosa di astratto, si creino delle discordanze, come casi in cui è chiaro secondo giustizia a che destino dovrebbe essere condannato un individuo, mentre la legge non permette una sentenza netta; altre volte una situazione è cristallina giuridicamente ma nebulosa moralmente. E rientra probabilmente in quest'ultima tipologia una notizia di questi ultimi giorni, relativa ad un caso di notevole sfortuna.

Riassunto per chi non ha voglia di leggere l'articolo (shame!): un uomo è stato arrestato nello stato dell'Indiana nell'agosto 2006 per aver convinto una tredicenne ad avere un incontro a tema sessuale, a seguito di diverse chattate esplicite. Fortunatamente la presunta ragazzina era in realtà un agente federale sotto copertura, per cui quando l'individuo in questione si è presentato all'appuntamento ha trovato la polizia ad attenderlo. Una volta effettuato l'arresto è stata fatta una perquisizione della casa del tentato pedofilo, e nel suo PC sono stati trovati i log di chattate con altre due minori. Le trascrizioni sono state sequestrate per essere successivamente usate come prova durante il processo. Tuttavia in seguito i federali si sono accorti che una delle due ragazzine era in realtà un altro agente sotto copertura. A questo punto l'avvocato della difesa ha presentato ricorso per entrapment, ed è immaginabile la sorpresa quando a seguito dell'analisi del caso svolta dal panel di giudici chiamato a decidere sul ricorso, è emerso che anche la terza adolescente era un agente. In ogni caso l'imputato è stato condannato a 17 anni e mezzo di reclusione, e l'obbligo di sottoporsi a controlli a vita, nonostante non ci siano prove che l'uomo sia mai riuscito a chattare con una minore realmente esistente.

Dal punto di vista legale, mi sembra di capire che la faccenda sia ben definita: il reato (knowingly persuading, inducing, enticing, or coercing an individual under the age of 18 to engage in criminal sexual activity, e immagino che questo articolo in realtà punisca anche il tentativo) è stato commesso, e il fatto che la ragazzina non esistesse è irrilevante, dato che era reale nella mente del criminale. Allo stesso modo le altre due chattate confermano l'intenzione criminale, indipendentemente dalla vera identità delle presunte minorenni. Oltretutto mi pare che nel sistema giudiziario americano le intenzioni abbiano una peso molto maggiore rispetto a quanto accade nel nostro, dove l'enfasi ricade maggiormente sui fatti.

Moralmente la faccenda è un po' più complessa. Stiamo parlando di un pedofilo attivo (tentato, perlomeno), che nella scala di gravità morale dei crimini del mondo occidentale è quasi il peggio che ci possa essere. E' evidente che una volta individuato un predatore, per rubare la terminologia americana, non si può dargli un buffetto su una mano, sgridarlo e rimandarlo a casa, perchè vorrebbe dire avere sulla coscienza le reali vittime future. Ma è anche vero che un uomo è stato condannato a 17 anni e mezzo di carcere senza aver commesso, di fatto, alcunchè. Né è completamente scontato che la parte più orribile del reato sarebbe stata commessa. E' vero che la persona si era presentata sul luogo dell'appuntamento, con tanto di preservativo in tasca, ma non si può realmente escludere che si sarebbe fermata prima di mettere in pratica quanto progettato, vuoi per paura, vuoi per un rigurgito di coscienza.

Da qui il nodo morale. Da una parte un uomo che, per quanto moralmente riprovevole, dovrebbe essere condannato con lo stesso metro di giudizio riservato a tutti gli altri, ed è in questo caso evidente lo sproposito di una condanna così pesante; dall'altra la consapevolezza che solo il caso ha voluto che davanti allo schermo ci fosse un fed e non una ragazzina vera, e che rilasciare il condannato vorrebbe dire esporre altre adolescenti allo stesso rischio. Dato che parliamo di giudizio morale e di giustizia ideale, immagino non esista una soluzione che possa trovare tutti d'accordo; i giudici hanno fornito la soluzione formale adottata nel nome dell'interesse comune, ad ognuno poi decidere quale sarebbe stata la soluzione più... giusta.

Ora, per risollevare un po' il tono del post, insolitamente serioso, due considerazioni:
- da più parti si è commentato che l'avvocato dell'imputato avrebbe fatto meglio ad impostare la difesa attorno al concetto che al suo assistito in realtà non è attratto dalle ragazzine minorenni, ma dagli agenti che fingono di essere ragazzine minorenni. Di certo avrebbe avuto diverse prove a suo favore;
- googlando ho scoperto che il termine legalese usato nel mondo anglosassone per chiedere quale sia la fonte di una certa autorità oppure per chiedere di dimostrare la validità della stessa è quo warranto. Sul serio. Mi fa parecchio ridere, sembra latino maccheronico da frat boy ubriaco.

[EDIT: ho visto questa immagine sul blog di Wil Wheaton, e non posso non ripostarla, ho riso per 10 minuti]


mercoledì 5 agosto 2009

Hi-Tech Instruments for Excellent Individuals

Questa mattina ho dovuto accompagnare un paio di persone a fare degli esami. Il laboratorio di analisi dove siamo andati era situato all'interno di un palazzo di tipo residenziale, occupato solo dallo stesso, da un dentista e da un commercialista; per entrare si passa attraverso un portoncino con i vetri, entrando in un piccolo atrio; da lì attraverso una porta si arriva a scale ed ascensore.

Per entrare è necessario aprire il portoncino, o suonando il citofono del laboratorio (apertura automatica, non risponde nessuno), o utilizzando l'apriporta situato ben 3-4 cm sopra al citofono. Una volta entrati, bisogna passare attraverso la porta delle scale, una porta a vetri non chiusa, solo appoggiata, con le regolamentari targhette spingere e tirare. Per uscire si apre il portoncino con un altro interruttore sul muro a circa 20 cm dal portoncino. Come in tutti i palazzi d'Italia, in pratica.

Dato che mi ero stufato di stare al piano seminterrato nella gremita sala d'aspetto, ad un certo punto mi sono spostato in quell'atrio, e sono rimasto lì per circa una mezz'oretta, durante la quale ho avuto modo di osservare l'umanità che entrava ed usciva per andare a fare esami (Oh, the humanity!).

Il traffico di persone è stato costante e sostenuto; in quella mezz'ora penso di aver visto passare almeno un centinaio di individui, di ogni età. Le performance di fronte all'ostacolo delle due porte sono state le seguenti:

Entrata, portoncino esterno:
  • - il 30% ha individuato immediatamente uno dei due pulsanti ed è entrato senza problemi (gli Svelti);
  • - il 40% ha tentato di aprire a mano, per notare poco dopo il citofono e aprirsi (i Rimbalzati);
  • - il 15% ha letto con cura il cartellone del laboratorio appeso al muro esterno, compresi orari, giorni, periodo ferie, elenco esami possibili, nome dei primari, tipografia che ha curato la composizione e stampa; quindi ha scrutato i campanelli per 40-50 secondi (laboratoriodentistacommercialistalaboraoriocommercialistadentista) per infine aprire ed entrare (i Cauti)
  • - il 15% è arrivato mentre qualcun altro entrava/usciva, e quindi non ha potuto essere messo alla prova (i Fortunati);
  • - 3 persone hanno scrollato vigorosamente il portoncino a più riprese per almeno una decina di secondi, intervallando con occhiate sperdute al mondo circostante, per poi chiedermi di aprirgli da dentro. Di questi, 2 hanno capito i miei ripetuti gesti il cui significato era "schiaccia il pulsante davanti al tuo naso". La terza dopo diverse esitazioni ha premuto il campanello riservato ai portatori di handicap per ottenere assistenza. Quello sopra al quale c'è un cartello con scritto "Riservato ai portatori di handicap per ottenere assistenza". O qualcosa del genere.
  • - 1 persona ha dato una scrollata, ha deciso che evidentemente erano chiusi per ferie e se ne è andata. Mi chiedo se troverà mai aperto.
Il passaggio della porta a vetri interna non ha creato problemi, principalmente perché nella direzione d'entrata bastava spingere.

In uscita invece, quando era necessario tirare, almeno un 40% delle persone hanno fatto un paio di tentativi infruttuosi spingendo prima di realizzare che il cartello sulla porta con scritto Tirare era indirizzato proprio a loro.

Per quanto riguarda l'uscita dal portoncino, infine:
  • - il 45% ha usato direttamente l'apriporta, ed è uscito senza problemi;
  • - il 30% ha tentato infruttuosamente con la forza bruta, per poi notare l'interruttore opportunamente etichettato e fuggire dal diabolico labirinto;
  • - il 15% ha tentato con la forza, fissando quindi con ostile curiosità il portoncino (Io ho fatto quel che dovevo fare qua dentro, perché non mi lascia uscire?) e venendo infine salvato dal tempestivo passaggio di qualcun altro;
  • - il 10% ha trovato aperto per la concomitante entrata/uscita di altri;
  • - 2 persone hanno provato strattonando con forza crescente, si sono guardate attorno con aria piena di panico (Aspetta, non è che questa è solo l'entrata e l'uscita è da un'altra parte?), hanno guardato me (che cercavo di non ridere e di sembrare solo un tossico che smaltisce il trip al riparo dal sole) e hanno temporeggiato fino all'arrivo di un salvatore che risolvesse il tranello per loro.
Caso a parte un signore di mezz'età, che arrivato al portoncino per entrare ha provato e riprovato spingendo e tirando, poi mi ha visto dentro e mi ha fatto segno se potevo aprirgli, dopo un'abbondante comunicazione con il linguaggio dei segni ha capito che doveva suonare il citofono ed è entrato, ha cercato di aprire la porta a vetri tirando, senza molto successo; ritirati i referti ha cercato di riaprire la porta spingendo, poi finalmente arrivato al portoncino, dopo aver provato con i soliti spintoni e strattoni ha impiegato solo una quindicina di secondi a trovare l'apriporta. Tutto quel che poteva sbagliare, l'ha sbagliato.

Considerando che le porte esistono da migliaia di anni, se questo è il grado di confusione che possono causare nella persona media, non posso fare a meno di pensare che forse le teorie dei complottisti che dicono che non siamo mai andati sulla luna potrebbero anche avere qualche fondamento.

Un'ultima nota per dire che i più "imbranati" non erano gli anziani, come ci si sarebbe potuti aspettare, ma le persone tra i 30 ed i 45 anni circa, con una prevalenza di donne. Non traggo conclusioni, mi limito a presentare il dato così com'è.


Altra cosa pensata in mattinata: vedendo passare molte di persone nella terza età, ho osservato l'arcinoto fenomeno dell'alzarsi della vita dei pantaloni col passare degli anni. Mi è venuto in mente che potrebbe essere una buona idea farsi tatuare da giovani una linea all'altezza giusta per i pantaloni, in modo da avere un punto di riferimento anche raggiunta un'età più inoltrata. Di sicuro sarebbe un bell'argomento di conversazione in spiaggia... "Cos'è quella linea tatuata sulla pancia?" "Niente di importante, serve a ricordarmi dove finiscono i pantaloni" "Prendimi, qui e ora."